Esclusi dal Regno

I figli di Dio, quelli che “tendono alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza e alla mitezza” e combattono la buona battaglia della fede (seconda lettura) non hanno bisogno di ricordare i tormenti dell’inferno per vivere bene. Ma per gli spensierati e l’orgia dei dissoluti può rappresentare l’ultima tavola di salvezza.




La liturgia della ventiseiesima domenica del tempo ordinario si pone, in parte, in continuità con il tema delle ricchezze, delle loro caducità e del loro retto uso, che abbiamo visto caratterizzare le celebrazioni delle domeniche precedenti. Ma aggiunge un aspetto - più attuale che mai - della vita “spensierata” propria dei “ricchi” che le severe parole del profeta Amos stigmatizzano come “orgia dei dissoluti”. Ma mentre l’antico profeta minacciava la prossima fine di tale vita scandalosa (vissuta da pochi e sovente a discapito e a spese di molti) con l’incombente deportazione in esilio, il Vangelo (assai più seriamente e severamente) avverte che l’esito di una tale vita - segnata dall’edonismo più sfrenato e volutamente e sprezzantemente indifferente dinanzi alla povertà e miseria di molti esseri umani - andrà a terminare nel tragico capolinea dell’eterna dannazione.

Un particolare, colto anche dall’orazione colletta domenicale, balza subito all’attenzione dell’ascoltatore dell’odierna pagina evangelica. Il povero ricoperto di piaghe leccate dai cani e bramoso di sfamarsi delle briciole cadute dalla mensa opulenta del ricco, viene subito presentato col suo nome proprio (“Lazzaro”); il ricco è e rimane anonimo, fino a finire nel tragico anonimato del baratro infernale, in cui i dannati perdono la propria identità. Hanno cioè completamente mandato in fallimento lo scopo della loro creazione da parte di Dio, il senso della loro esistenza e quella caratteristica unica e irripetibile che avrebbero dovuto avere nella sinfonia dell’universo. Significa che una vita abbrutita, abbassata al livello animalesco - come è quella di chi identifica la felicità con il godimento dei soli piaceri sensibili - porta alla spersonalizzazione della creatura, che perde la dignità umana e diventa, come se fosse un animale, semplicemente “un individuo della specie”. È davvero agghiacciante, anche se dolorosamente vero, riflettere su questo tragico sbocco che può prendere una vita umana depravata e fallita.

Altro elemento fondamentale della pagina evangelica è la sottolineatura dell’importanza di credere, senza dubitare, alle verità rivelate, quale quella dell’esistenza dell’inferno e, conseguentemente, della reale possibilità dell’eterna dannazione. Il disperato e fallito ricco della parabola, con un inedito - e per la verità non molto comprensibile - sussulto di preoccupazione per i suoi cari ancora sulla terra, implora Abramo di mandare Lazzaro ad ammonirli “severamente” perché non debbano giungere a fargli compagnia “in questo luogo di tormento”. Si badi: “luogo di tormento”, non semplicemente “luogo di semplice assenza di Dio”. Il ricco stava “negli inferi tra i tormenti” e supplicava Abramo che mandasse Lazzaro a bagnare la sua lingua poiché soffriva “terribilmente in questa fiamma”. Certamente la nostra fede non si fonda (e non deve essere fondata) sul terrore dell’inferno, ma sull’amore a Gesù e al Paradiso; ma minimizzare o, peggio, annullare la realtà della verità di fede circa la sua esistenza e le sue certamente spaventose (ma reali) caratteristiche in nome di un buonismo ad ogni costo - pur a volte propugnato con l’intenzione di salvare la “bontà di Dio”, a torto ritenuta “minata” dalla possibilità dell’eterna dannazione - non giova ad alcunché di buono se non a confermare (erroneamente e  sciaguratamente) nel male e nella “spensieratezza” proprio coloro per i un severo scossone di coscienza rappresenterebbe l’unica possibilità di salvezza. Come Gesù fa comprendere nella parabola, tale salutare terremoto interiore non potrebbe essere provocato da nessun fenomeno straordinario (perché sarebbe ridicolizzato dai destinatari) ma solo dal prendere sul serio le verità di fede (“hanno Mosè e i profeti”). Da qui la doverosa attenzione a non manipolare, addolcire o edulcorare “certe” verità di fede ritenute, oggi, scomode, “non al passo coi tempi” e così via. Perché in tal caso l’orgia dei dissoluti continuerà, tragicamente, a sfociare nella dannazione, ma con la complicità di chi aveva il compito di ammonire questi infelici anche attraverso le severe parole di certe verità di fede, al fine di scuoterne le coscienze.

Pensiamoci bene, prima di relegare troppo frettolosamente in un quanto mai inopportuno dimenticatoio, tali dolorose ma spesso salutari verità.


Ventiseiesima Domenica del Tempo ordinario Anno C, 29 Settembre 2019

Letture: Am 6, 1.4-7; Sal 145; 1 Tm 6, 11-16; Lc 16, 19-31


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