Confidare nella Divina Misericordia senza abusarne

"La santa fierezza di essere battezzati e la ferma speranza di poter essere sempre perdonati"




Omelia di Don Leonardo M. Pompei, Domenica in albis (festa della Divina Misericordia), anno A
Letture: At 2,42-47; Sal 117; 1 Pt 1, 3-9; Gv 20, 19-31


La grande gioia pasquale della Chiesa, sgorgata dallo stupendo evento della tomba vuota, viene - come accade nelle più grandi solennità - prolungata lungo il corso di otto giorni. Il numero “8”, infatti, è il numero che simboleggia la risurrezione del Signore, essendo composto dalla sovrapposizione di due cerchi, simbolo di infinito, oppure dal simbolo stesso dell’infinito posto in verticale. Le ottave della Chiesa (quella di Pasqua e quella di Natale anzitutto, ma anche - sia pur oggi con minore risonanza liturgica rispetto al passato - quella di Pentecoste, quella del Corpus Domini, quella dell’Assunta) sono piccoli squarci di cielo, anticipazioni reali (anche se vissute nella fede e nella speranza) dei futuri ed infinti gaudi divini ed eterni, verso cui tutti siamo incamminati. Più che mai quest’anno viviamo quest’ottava nella speranza, sapendo che quanto più dolorose sono le prove tanto maggiori saranno i frutti, purché esse siano affrontate nello spirito di sereno abbandono ai Divini Voleri come Gesù ci ha insegnato prima con la sua vita e poi con la sua parola. Una gioia che è tanto maggiore quanto più forte e profondo è stato il pianto e il dolore che l’ha preceduta.
Anticamente questa domenica si chiamava anche “in albis”, a ricordo del fatto che i nuovi battezzati (“neofiti”) solo durante questa domenica deponevano la veste bianca (“alba”) ricevuta in occasione del Battesimo la notte di Pasqua. Questo particolare ci ricorda l’immensa gioia, gratitudine immensa, oserei dire santa fierezza con cui noi battezzati dovremmo ininterrottamente vivere (non solo in questo giorno, ma sempre), avendo il privilegio unico - grazie al Battesimo - anzitutto di essere pienamente incorporati a Gesù e al suo corpo che è la Chiesa; ma anche di poter attingere alla pienezza della Rivelazione, conoscendo con certezza ciò che è vero e bene e distinguendolo senza errore da ciò che è falso e male; ed infine - e mai come in questi tempi voglia il Signore che ce ne accorgiamo dal profondo - abbiamo il privilegio di poter ricevere la pienezza della grazia in forza dei sacramenti, mezzo ordinario con cui Dio comunica agli uomini i meriti ottenuti da Cristo Redentore e la salvezza da Lui acquistata per noi.


Questa Domenica è stata da Gesù stesso, peraltro, arricchita di un ulteriore dono, ossia il ricordo e la celebrazione dell’immenso e consolante mistero della sua misericordia. La richiesta che a suo tempo Egli rivolse a santa Faustina Kowalska (1905-1938) di poter dedicare questa domenica alla sua misericordia - chiedendo esplicitamente al Papa di istituire tale festa - fu finalmente ottemperata da san Giovanni Paolo II, in occasione della canonizzazione dell’umile suora polacca (30 Aprile 2000). Il Vangelo di questa Domenica - che rimane sempre il medesimo nonostante l’alternanza dei cicli liturgici - offre peraltro una grandissima opportunità di dare spazio al tema della misericordia e al sacramento con cui essa scende sulle anime che la invocano; sacramento che è amministrato, per esplicita volontà del Signore, dai soli sacerdoti, in forza del potere di rimettere i peccati che Egli stesso conferì loro la sera stessa di Pasqua. Anche il celebre episodio dell’incredulità dell’apostolo Tommaso deve essere un monito a riprendere alcune raccomandazioni che Gesù ampiamente diede a santa Faustina, tra cui quella di guardarsi dal dubitare della divina misericordia o di mancare di fiducia e abbandono nei suoi riguardi. Riguardo la divina misericordia, infatti, bisogna anzitutto fare attenzione a non abusarne, pensando che essa sia una sorta di improponibile minimizzazione o negazione del peccato e delle sue conseguenze, trasformandosi di fatto in una perniciosa (anche se implicita e non volontaria) incentivazione al male (con la scusa di ottenere un facile e frettoloso o addirittura nemmeno richiesto perdono). Detto questo, è pur vero che della Divina Misericordia non bisogna mai né dubitare né diffidare. “Dio perdona chi è pentito”, ha sempre insegnato la Chiesa. Quando il cuore è veramente dispiaciuto di quel che ha commesso; è pronto a riconoscere il peccato come tale e a detestarlo; si addolora per il male che esso ha prodotto, per il fatto che è stato la causa della morte di Gesù; e infine si propone fermamente di starne per sempre alla larga, non si può e non si deve dubitare della Divina Misericordia. Essa è dunque la più profonda e pura sorgente di quella “gioia indicibile e gloriosa” che ci consente di raggiungere “la meta della nostra fede, ossia la salvezza delle anime”.

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