Quale, uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?

Dinanzi all'Altissimo e ai suoi sempre nuovi, inediti, insondabili misteri e dinanzi alle sorprendenti manifestazioni della sua Volontà, dobbiamo sempre rimanere aperti, pronti a lasciarci ribaltare schemi, rettificare convinzioni, percorrere nuove vie e, soprattutto, cambiare idea...



Omelia della XXIII Domenica del tempo ordinario (anno C), di Don Leonardo Maria Pompei 
Letture: Sap 9, 13-18; Sal 89; Fm 9b-10. 12-17; Lc 14, 25-33


Le splendide parole dell’orazione colletta dell’anno C sintetizzano in modo mirabile il grande messaggio sgorgante dalle meravigliose letture della ventitreesima domenica del tempo ordinario: “O Dio, tu sai come a stento ci raffiguriamo le cose terrestri, e con quale maggiore fatica possiamo rintracciare quelle del cielo; donaci la sapienza del tuo Spirito, perché da veri discepoli portiamo la nostra croce ogni giorno dietro il Cristo tuo Figlio”. 
Il brano della prima lettura è un vero e proprio capolavoro e un puro distillato di sapienza, libro dal quale - peraltro - è tratto questo splendido testo. Esordisce con una frase che tutti dovremmo sempre ricordare, soprattutto gli “addetti ai lavori” delle cose di Dio e dello spirito: ministri in primis, ma anche operatori pastorali, catechisti, membri dei consigli pastorali etc. “Quale, uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?”. Magari ciascuno di noi fosse capace di mettersi davanti a queste profondissime parole e, dopo averle ben manducate e digerite, lasciare che formino il sangue e la linfa dell’anima e del pensiero. Bene assai sarebbe ricordarle prima di parlare, proporre progetti, programmi, piani pastorali, portare avanti idee e posizioni (quasi sempre opinabili) quasi fossero la quintessenza del Vangelo e il segreto di paventati (ma raramente realizzati) successi apostolici. La prima cosa che dobbiamo sempre fare è ascoltare attentamente la Parola di Dio e il Vangelo, con quella santa umiltà di chi sa di non sapere (anche se ha lauree in teologia e esperienze pluriennali) perché Dio con i suoi santi voleri è sempre oltre e mai cessa di ammaestrarci, sorprendere e stupirci. Qual è il fondamento di questa nostra “strutturale” ignoranza? È sempre il libro della sapienza a darne illuminata e convincente spiegazione: “I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo?”. Si tratta, se ci pensiamo bene, di cose apparentemente ovvie e alla portata di tutti, empiricamente constatabili e assolutamente evidenti; eppure assai facilmente dimenticate o ignorate. Cosa dunque bisogna fare per cercare di discernere l’unica cosa che conta, ossia i benedetti voleri dell’Altissimo? È ancora il libro della Sapienza, nella sua parte conclusiva a darci luce e retta direzione: “Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?”. Occorre dunque chiedere, invocare, implorare da Dio lo Spirito Santo con il primo dei suoi sette santi doni, ossia la Sapienza. Ecco perché la preghiera deve sempre stare al primo posto nella vita dei fedeli e della Chiesa stessa, se realmente si vuole fare quel che Dio vuole e non quel che vogliamo noi (spesso presentato come presunta volontà di Dio, ma in realtà frutto di idee, visioni e ragionamenti umani, a volte molto umani, in qualche caso troppo umani).
Tale illuminante lettura è, inoltre, la premessa necessaria per comprendere e accogliere il serio e impegnativo brano dell’odierno Vangelo, ove Gesù spiega che per essere suoi autentici discepoli nulla si può né si deve mai anteporre a Lui e la Croce, quella croce da cui tutti fuggono, deve essere presa e abbracciata come via sicura di conformazione a Lui e al suo pensiero. Nel cuore del discepolo ci deve essere la rinuncia a “tutti gli averi”, non solo ai beni materiali, ma anche (cosa assai più difficile) a quelli affettivi e spirituali. Le parabolette della torre e del re non fanno altro che ribadire tale radicale verità: se rimaniamo impigliati, ingabbiati o legati a qualche cosa capace di trattenere il nostro cammino di sequela, non reggeremo alle prove e certamente lasceremo o - peggio - tradiremo Gesù. Parole certamente impegnative, ma manifestanti il pensiero di Gesù che coincide con quello dell’Altissimo. A noi il compito di accoglierlo con semplicità nella sua impegnativa chiarezza e scegliere se ad esso uniformare la nostra vita e, soprattutto, il nostro cuore.

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