Il giorno del Signore
"Attendiamo la fine dei tempi vivendo bene il tempo presente"
Omelia di Don Leonardo M. Pompei, XXXIII Domenica del tempo ordinario, anno C
Letture: Ml 3, 19-20; Sal 97; 2 Ts 3, 7-12; Lc 21, 5-19
Siamo giunti alla penultima domenica del ciclo C dell’anno liturgico e, come sempre accade, l’odierna liturgia è fortemente polarizzata sulla fine dei tempi, sull’escatologia, su ciò che possiamo e dobbiamo attenderci per i tempi della fine e per il tempo che verrà. Questo discorso, evidentemente, non è solo una meditazione sul futuro, meno che mai un fornire rocambolesche o mirabolanti risposte a domande più o meno infarcite di un certo tasso di curiosità (che sempre si innesca quando si parla “del futuro”, della “fine del mondo” o di argomenti affini). Il modo con cui Gesù e le Sacre Pagine affrontano questi importanti eppur delicati temi è sempre quello di una presentazione sobria ed essenziale (oltre che di data incerta e indeterminata) di ciò che “deve accadere”, finalizzata a trarne insegnamenti o ammonimenti per ben vivere il presente ed essere sempre pronti ad affrontare qualunque cosa pur di raggiungere la sospirata meta della nostra fede, ossia il gioioso e definitivo incontro col nostro Dio e Signore Gesù Cristo.
La prima lettura presenta il tema del “giorno del Signore” definendolo “rovente come un forno”. E ci assicura che in quel giorno giustizia sarà fatta, in modo perfetto e pieno, allorché “i superbi e gli ingiusti” saranno definitivamente separati dai “timorati di Dio” per ricevere ben differenti retribuzioni: fuoco che brucerà per i primi, sole di giustizia che sorge con raggi benefici per i secondi. Il messaggio di speranza contenuto in queste promesse è evidente: mai disperare o smettere di fare il bene vedendo l’apparente prosperità dei malvagi e le difficoltà e tribolazioni dei pii; Dio tutto vede, osserva e conserva e verrà il giorno in cui le fatiche avranno lode e premio, mentre le malefatte vergogna e giusta retribuzione.
San Paolo ricorda, assai salutarmente, come il tempo della vita terrena - che pur deve essere trascorso con lo sguardo aperto al cielo e il cuore già dimorante in esso - è tempo di fatica e travaglio, nonché di lavoro. Dal tempo in cui fu commesso l’antico peccato, è stato detto che ci si deve guadagnare il pane con il sudore della fronte e tale penitenza - imposta da Dio stesso - deve essere da tutti abbracciata con gioia, alacrità e impegno, senza mai indulgere a nessuna forma di ozio o accidia. I figli di Dio non vivono per lavorare, ma vivono del proprio onesto lavoro, che santificano ed in cui si santificano ordinandolo sempre secondo Dio e facendone uno strumento per la crescita del consorzio umano e per il bene di tutti.
Nel Vangelo Gesù ricorda che il tempo della fine deve essere preceduto da molte tribolazioni che lentamente si susseguono nel corso della storia e che “in quel tempo” avranno una particolare intensità e recrudescenza. Ammonisce dal guardarsi dal dare credito ai falsi profeti e messia e, soprattutto, agli annunciatori di “imminenze della fine” (che oggi come ieri di certo non mancano, anzi abbondano e pullulano quanto mai!). Annuncia grandi persecuzioni per i suoi discepoli che, se si intensificheranno nel tempo della fine, costituiscono tuttavia una costante nel processo di avvento sulla terra di quel regno divino destinato a soppiantare il maledetto regno del principe di questo mondo, il quale certamente non resta a guardare e non assiste rassegnato e imbelle alla sua disfatta ma, come si suol dire, fa “il diavolo a quattro” per impedire che il regno di Dio venga e si instauri sulla terra (come incessantemente chiediamo nel “Padre nostro”) e si sforza di fare in modo che i discepoli di Colui che lo ha inaugurato e proclamato si scoraggino, si disperdano, manchino di perseveranza rinnegando la fede. Gesù assicura alcune cose: primo, che anche la persecuzione è sotto il controllo della Divina Provvidenza (“nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”); secondo, che Dio darà la forza per combattere e sostenere il martirio; terzo, che la sua sapienza (non la nostra umana industriosità) provvederà a mettere nelle nostre bocche le parole giuste al momento opportuno; ed infine che solo la perseveranza (dono che dobbiamo costantemente impetrare da Dio) ci assicura la salvezza della nostra vita, perché, come amava dire padre Pio, la salvezza non è di chi bene comincia, né di chi va avanti per un certo tempo, ma solo di chi persevera fino alla fine.
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