Gioia e allegria

"Chi realmente incontra il Signore sperimenta e vive la gioia sempre e in ogni situazione, 
comprese le più sgradevoli e dolorose"



Omelia di Don Leonardo M. Pompei, terza domenica di Avvento, anno A
Letture: Is 35,1-6a. 8a.10; Sal 145; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11

La terza domenica di Avvento di ogni anno del ciclo liturgico è posta sotto l’egida del consolante “incipit” dell’antifona di ingresso: “rallegratevi”, in latino “gaudete”, espressione da cui trae il nome questa domenica detta appunto “della gioia”, il cui carattere è espresso dal colore liturgico rosaceo, che attenua l’austerità del viola proprio perché è intenzione della Chiesa - in questa peculiare celebrazione - spostare l’attenzione più sulla gioia della venuta di Gesù nella storia (e nella nostra vita) che sui requisiti di sobrietà, vigilanza, preghiera e attenzione che sono comunque necessari perché tale venuta sia riconosciuta, accolta e non resa vana.
La medesima esortazione all’allegria risuona anche all’inizio dell’odierna prima lettura, con caratteristiche e forme apparentemente paradossali: come potrebbero infatti rallegrarsi il deserto e la terra arida oppure esultare e fiorire una steppa? Non potrebbero, a meno che qualche cosa di grosso non stia in procinto di accadere, tale da liberare queste creature dalla loro situazione di desolazione, solitudine, infruttuosità e tristezza. Ma questo è esattamente ciò che Isaia annuncia: il riscatto e il risanamento di situazioni di morte e di dolore ordinariamente irreversibili, quali la sordità, la cecità e il mutismo. Il messaggio è dunque chiaro: il Signore che viene nella vita e nella storia di chi lo accoglie, porterà la gioia di vedere trasformata la desolazione in comunione, la solitudine in santa compagnia, la tristezza in gioia, l’infruttuosità in fecondità, la cecità in luce, il mutismo in santa favella, la sordità in ascolto fecondo e costruttivo. Chi ha fatto esperienza di vera e autentica conversione, non limitando il proprio rapporto col Signore, con la Chiesa, con la fede e la religione ad una facciata superficiale di tradizione e abitudine, sa quanto siano vere e autentiche (e puntualmente realizzate in toto) tutte queste divine promesse.
San Giacomo ci ricorda che la venuta del Signore (non solo quella ultima e definitiva a cui sembra alludere il testo dell’epistola, ma anche quella continua nel cuore dei fedeli) deve essere attesa con una costanza sempre operosa, nella certezza che quanto il Signore promette sempre lo mantiene e che le sue sempre nuove e letificanti visite non possono né mancare né troppo tardare in quei cuori che sono pronti e disposte a riceverle, allontanando tutto ciò che potrebbe farvi ostacolo, come - per esempio - la brutta e contagiosa malattia della “lamentosi” a cui nel testo viene fatto esplicito riferimento.
Il Vangelo, infine, ci mostra l’episodio in cui i discepoli del Battista si recano a chiedere a Gesù, a nome del grande penitente precursore, se Egli fosse davvero l’Atteso delle genti. È molto significativo il fatto che Gesù risponda mostrando i frutti della sua presenza, predicazione e opera, che sono quelli annunciati dal profeta Isaia. Il che significa che se nella nostra vita non constatiamo quei frutti di gioia e reale conversione poc’anzi menzionati, ancora non possiamo dire di aver realmente e profondamente accolto il Signore nella nostra vita, perché la sua presenza non può produrre altro che bene, grazia, gioia e santità.
Gesù termina con una piccola apologia del Battista che è significativa sotto almeno due punti di vista. Il ricordare che l’incontro con Lui può avvenire, ordinariamente, solo attraverso la mediazione di testimoni coerenti e credibili. Inoltre l’enorme salto di qualità che si verifica nell’economia della salvezza con l’avvento di Gesù. L’antica alleanza trova nel Battista, infatti, il vertice della santità; ma la nuova alleanza, che Gesù avrebbe inaugurato nel suo sangue, rende il più piccolo tra i battezzati dotato di una “potenzialità di santità” superiore addirittura a quella del grande Battezzatore. Il che ci fa andare con un po’ anticipo al grido del grande e santo Papa Leone Magno, che risuona nell’Ufficio delle Letture della notte di Natale: “riconosci, cristiano, la tua dignità!”. Il fatto che tutta questa santità spesso non si veda nelle nostre vite, ci chiama ad un grande esame di coscienza, così come l’eventuale assenza di gioia. Se qualcosa non va, è sempre dalla nostra parte che bisogna guardare, mai da quella di Colui che tutto ci dona e offre, solo che ci mettiamo nelle condizioni di accoglierlo.

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