Gesù è il Signore e la luce delle nazioni

"Dire che Gesù è il Signore significa attribuirgli il nome stesso di Dio, ossia professarne in modo inequivocabile la sua vera divinità, principio e cardine della fede divina e cattolica"


Omelia di Don Leonardo M. Pompei, II domenica del tempo ordinario, anno A
Letture: Is 49, 3. 5-6; Sal 39; 1 Cor 1, 1-3; Gv 1, 29-34


La scorsa Domenica abbiamo celebrato la festa del Battesimo del Signore, con cui è terminato il tempo di Natale. Con questa comincia il tempo ordinario ed il Vangelo del ciclo liturgico di questo anno ci porta esattamente dove avevamo lasciato Gesù una settimana fa: san Giovanni Battista rende testimonianza di quel che ha visto con i propri occhi battezzando il Signore ed attestando, in modo chiaro, netto e inequivocabile che Egli è davvero il Figlio di Dio.
Il tempo ordinario, come è noto, è dedicato proprio all’approfondimento, sotto la guida principale dei Vangeli Sinottici (che variano a seconda del ciclo liturgico), del contenuto essenziale e fondamentale della predicazione di Gesù durante i suoi tre anni di vita pubblica. Ciò che occorre sempre tenere presente - e la Chiesa non cessa di ricordarlo ai suoi figli - è che la parola di Gesù non è semplicemente parola profetica, parola di un grande santo, parola ispirata: è Dio in persona che ci parla in Lui e attraverso Lui. La dignità e la riverenza che la proclamazione del Vangelo ha all’interno della liturgia della Parola (lo stare in piedi, i segni di croce che si fanno sulla fronte, sulla bocca e sul cuore) non ha altro compito che destare fino al massimo grado l’attenzione e la coscienza di chi è Colui che in quel momento parla nell’oggi attuale della vita della Chiesa: Dio fatto uomo.
La prima lettura ci presenta la figura del servo del Signore contemplata sotto l’aspetto di “luce delle nazioni” e di colui che porta “la salvezza fino agli estremi confini della terra”: è esattamente la sintesi profetica di ciò che Gesù avrebbe compiuto nel suo ministero pubblico, ossia illuminare il mondo con la luce della sua Parola - che continua a splendere nella Chiesa e che, nonostante i continui tentativi delle forze a lui avverse, mai potrà essere oscurata - e compiere, attraverso la sua Pasqua, la salvezza del genere umano, lasciando ai sacramenti della sua Chiesa il compito di mettere in efficace contatto con essa chiunque riconosca in Gesù il suo vero Dio e unico Salvatore. 
Anche l’epistola evidenzia che Gesù è “il Signore”. Questo termine in greco (“kùrios”) non è altro che la traduzione del nome ebraico (proprio) di Dio “Jahvé”, nome che Egli stesso si degnò di rivelare a Mosè sul monte Sinai (cf Es 31.14) e che è tanto sacro e venerato dal popolo dell’antica alleanza da non potersi nemmeno pronunciare apertamente quando lo si incontra nelle sacre pagine. Dire che Gesù è “il Signore”, pertanto, vuol dire attribuire a Gesù il nome proprio di Dio, ossia definirne, di nuovo in modo chiaro e non equivocabile, la sua vera divinità. È solo da Gesù che gli uomini possono essere santificati e diventare, perciò, “santi per chiamata”, ossia chiamati a portare a piena perfezione quel germe di santità - frutto dell’opera di redenzione da Lui compiuta - ricevuto nel sacramento del Battesimo. La santità cristiana, come ci ricorda il ritornello del Salmo responsoriale, non ha altra forma di declinazione e coniugazione che il fare in tutto la divina Volontà. Gesù venne nel mondo solo per fare la volontà del Padre, come di Lui era scritto nel sacro libro e solo essa fece. Coloro che sono da Lui santificati imparano a loro volta, ogni giorno di più e meglio, a fare la medesima volontà di Dio, annunciando il Vangelo ricevuto e in cui credono anzitutto con la santità della vita, oltre che con la doverosa e altrettanto necessaria testimonianza della Parola. Come dice l’orazione colletta propria di questa liturgia: “O Padre, che in Cristo, agnello pasquale e luce delle genti, chiami tutti gli uomini a formare il popolo della nuova alleanza, conferma in noi la grazia del Battesimo con la forza del tuo Spirito, perché tutta la nostra vita proclami il lieto annunzio del Vangelo”. 

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