Fedeli imitatori di Colui di cui il Padre si compiacque

"I discepoli di Gesù devono riprodurre in sé lo stile e i tratti del Maestro, onde non gettare discredito sul divino messaggio che portano"


Omelia di Don Leonardo M. Pompei, Festa del battesimo del Signore, 12 Gennaio 2020
Letture: Is 42,1-4.6-7; Sal 28; At 10,34-38; Mt 3,13-17

“Padre d'immensa gloria, tu hai consacrato con potenza di Spirito Santo il tuo Verbo fatto uomo, e lo hai stabilito luce del mondo e alleanza di pace per tutti i popoli: concedi a noi che oggi celebriamo il mistero del suo battesimo nel Giordano, di vivere come fedeli imitatori del tuo Figlio prediletto, in cui il tuo amore si compiace”. Con queste parole la liturgia della Chiesa esprime in sintesi, nell’orazione colletta della Santa Messa, i molteplici e grandi misteri celebrati nella festa del Battesimo del Signore. Si può fare un accostamento tra questa festa (che chiude il tempo di Natale) con la Pentecoste (che chiude il tempo di Pasqua). In quella odierna vediamo Gesù che, nella potenza dello Spirito Santo, dà inizio alla sua missione di evangelizzatore e redentore del mondo, dopo i trent’anni di vita nascosta; similmente con la Pentecoste la Chiesa, dopo il tempo di concepimento e gestazione alla scuola del Maestro, dopo essere stata lavata nel suo Sangue e dopo essersi preparata con la preghiera nel Cenacolo, sotto la guida della Beata Vergine Maria, riceve lo Spirito Santo per compiere la sua missione di annunciare il Vangelo a tutte le nazioni portando, a chiunque desideri accoglierla, la salvezza operata dal Signore e i mezzi perché essa sia attuata efficacemente nelle singole anime, primo fra tutti il Battesimo.
La prima lettura riporta il primo dei quattro carmi del servo di Jahvè che - come è noto - nella lettura e nella tradizione apostolica sono stati tutti rigorosamente interpretati in chiave cristologica: il preannunciato “servo del Signore” altri non è che nostro Signore Gesù Cristo. La presenza dello Spirito su di lui, dice il profeta, lo abilita a “portare il diritto alle nazioni”, con uno stile unico e inconfondibile che, dopo essere stato proprio del Maestro, dovrà essere indefettibilmente assunto anche dai suoi discepoli, perché il loro annunzio - vero e divino in se stesso - possa apparire anche credibile agli occhi degli uomini. “Non griderà, né alzerà il tono”. La predicazione di Gesù, sempre chiara, semplice e ferma nell’esporre e nell’insegnare apertamente la verità (pur sotto il velo delle parabole quando si rivolgeva alle folle), non è mai stata strillata, aggressiva, mordace, pungente, tagliente, sprezzante. Anche quando stigmatizzava il male come male, denunciava il peccato e il vizio come portatori di morte e di ogni specie di male, Gesù conservava sempre uno stile e una forma mite e pacifica, mansueta e rispettosa, umile e al tempo stesso maestosa e regale. La forza della verità, infatti, si impone con la dolcezza e l’amore, mai con la violenza e l’aggressività. “Non farà udire in piazza la sua voce”. Espressione da intendere correttamente, non certo nel senso che Gesù rifuggisse dal parlare in pubblico (i Vangeli ci parlano di folle, a tratti quasi oceaniche, che lo seguivano attirate dalla dolcezza e potenza della sua Parola) ma nel senso di non andare ossessivamente in cerca di palcoscenici o clamori mediatici né di scendere a compromesso alcuno pur di conservare la notorietà o - come oggi si dice - il favore o il gradimento delle piazze. La predicazione di Gesù, pur dolce e mite, era sovente impopolare (si pensi, tanto per fare un esempio, al discorso sul pane della vita alla sinagoga di Cafarnao - CIF Gv 6) ed Egli non aveva certo timore di perdere discepoli quando questo significasse edulcorare o indebitamente addolcire la pillola - non di rado amara - della verità. “Non spezzerà una canna incrinata”. L’atteggiamento di Gesù verso i peccatori era sempre e comunque quello di salvarli e ricuperarli. Se il grande battezzatore san Giovanni Battista tutto era meno che una canna incrinata - tanto solida, alta e forte era la statura della sua santità - Gesù ben sapeva che la quasi totalità degli uomini sono invece canne molto incrinate e queste occorre tentare di raddrizzarle, non finire di abbatterle. Similmente Gesù mai spegneva il lucignolo fumigante, ossia quelle anime in procinto di cadere nello sconforto, nello scoraggiamento o nella disperazione sotto l’oppressione o del carico delle proprie colpe oppure delle molteplici vicissitudini, prove e affanni della vita. Nondimeno Egli proclamò il diritto con verità, secondo quello stile semplice e stringente del “sì sì, no no” (cf Mt 5,37) che Egli stesso insegnò nel Vangelo, ben consapevole che la prima grande opera e il primo grande servizio che si può e si deve rendere ad ogni anima è la luce della conoscenza, che è principio e causa di ogni scelta che possa essere orientata verso il bene, il giusto e il bello. Anche Gesù, pur essendo Dio, non volle improvvisare la sua missione, ma si sottopose ad un lungo tirocinio di trent’anni in cui, secondo il dire del profeta, “il Signore lo formò e lo stabilì come alleanza del popolo e luce delle nazioni”, espressione - quest’ultima - che già fu oggetto di ispirata profezia da parte del vecchio profeta Simeone (Cf Lc 2,32) e che pienamente si sarebbe compiuta in Colui che definì se stesso “luce del mondo” (Gv 8,12).
Questi aspetti della missione e del ministero di Gesù, su cui abbiamo ritenuto opportuno volgere l’attenzione, devono essere oggetto di attenta e profonda meditazione da parte di tutti i suoi discepoli (e apostoli) che, non essendo da più del Divino Maestro né più grandi di chi la inviati, non basta che siano fedeli (come devono) all’insegnamento del loro Signore, ma che lo portino anche con le forme e lo stile da Lui scelti. Sia perché i loro sforzi possano risultare efficaci, sia per non far perdere di credibilità alla verità del messaggio che portano.

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