La conversione

Cosa è e in cosa consiste





Omelia di Don Leonardo M. Pompei, III Domenica del tempo ordinario, anno A
Letture: Is 8,23b - 9,3; Sal 26; 1 Cor 1,10-13. 17; Mt 4,12-23

La terza domenica del tempo ordinario dell’anno A ci mostra i primi passi del ministero pubblico di Gesù, visti da quella peculiare prospettiva del Vangelo di san Matteo, tra le cui caratteristiche tipiche vi è quella di evidenziare come in Gesù si fossero compiute tutte le profezie messianiche veterotestamentarie. Non c’è da stupirsi di tale peculiarità se si considera, come abbastanza noto, che destinatario di tale Vangelo erano i cristiani provenienti dal giudaismo e che più di qualche esegeta ritiene (non senza forti e convincenti ragioni) che la primitiva versione del primo Vangelo fosse più breve e redatta in aramaico (e pertanto avrebbe addirittura potuto fungere da fonte per quelle parti simili e comuni dei Vangeli sinottici).
Isaia aveva dunque profetato che i territori al nord della Palestina, a ridosso e contigui a terre pagane, sarebbero stati glorificati perché destinati a diventare punto principale di irradiazione di quella grande luce destinata a rifulgere e illuminare il mondo intero e ad essere causa di ritrovata e rinnovata gioia e letizia per chiunque l’avesse accolta (prima lettura). Il brano di san Matteo, dunque (che è immediatamente successivo al racconto dell’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto), ci mostra anzitutto tale profezia compiuta dal momento in cui Gesù stabilì Cafàrnao come residenza ordinaria (anche se non stabile, dato il carattere itinerante della sua predicazione) dei suoi tre anni di vita pubblica. Il contenuto fondamentale di tutta la predicazione di Gesù è riassunto dall’evangelista nella prima sentenza messa in bocca al Signore: “Convertitevi, perché il regno dei Cieli è vicino”. Il cristianesimo annuncia, infatti, la conversione come punto fondamentale di accesso al messaggio e alla vita che Gesù è venuto ad offrire all’umanità immersa nelle tenebre. “Conversione” significa anzitutto aprire la mente alla luce che il Vangelo porta, con la disponibilità a cambiare le proprie idee, le proprie convinzioni, i propri punti di riferimento; “conversione” indica anche la disponibilità a tornare sui propri passi, ad ammettere di aver sbagliato, ad accettare il fatto di aver commesso errori di valutazione e aver compiuto scelte di vita sbagliate; “conversione” significa infine disponibilità a cambiare radicalmente vita, in forza di ciò che la luce del Vangelo ha illuminato e la coscienza, in spirito di docile apertura, ha recepito.
Un’ottima sintesi di ciò che è la conversione è rappresentata dal racconto della chiamata dei primi quattro discepoli. Da esso, oltre a quanto testé evidenziato, occorre cogliere due ulteriori caratteri fondamentali del processo di conversione: il “tutto” e “subito”. Queste due parole - molto spesso oggetto di disordinati o impossibili desideri e aspirazioni da parte di noi poveri mortali - sono la parola d’ordine del regno dei cieli. Alla voce di Gesù che chiama occorre infatti rispondere subito, senza rimandare, tergiversare o procrastinare; chi lo facesse, perderebbe l’occasione offerta dalla Grazia, come quando si vedesse partire un treno senza esservi saliti, senza sapere se e quando altre possibilità dovessero nuovamente presentarsi. A Colui che chiama, inoltre, va offerta massima e incondizionata disponibilità: con Gesù si sa come stiamo quando lo incontriamo, ma non possiamo sapere dove vuole portarci né come intende farci diventare. Quello che Lui chiede è “carta bianca”, ossia la disponibilità a lasciarsi plasmare in tutto, in spirito di piena fiducia e abbandono, sorretti dalla fede e dalla fiducia in Colui che è l’Atteso dalle genti e l’unico vero e divino Salvatore dell’uomo.
Solo una parola sull’epistola, che meriterebbe ben maggiore attenzione. Fin dall’epoca primitiva della Chiesa si nota la presenza di fazioni e gruppi legati al nome di qualche autorevole apostolo e rappresentante di Cristo. La diversità e la pluriformità nella Chiesa è certamente un valore, da accogliere e salutare positivamente, purché però non leda l’unità di essa e non degeneri (mai!) né in culto della personalità né (peggio ancora) in idolatria della persona. Tali forme - molto, ma molto umane ma sciaguratamente anche molto comuni - non solo non hanno nulla di soprannaturale ma ledono sia la luminosa unità della Chiesa che la stessa credibilità del messaggio evangelico. Sono più diffuse di quanto si creda e si pensi a prima vista. Non lasciamoci mai impigliare dai loro sottili e perniciosi lacci.

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