Felicità sovrabbondante

Gesù è venuto a portare la vita vera e in misura sovrabbondante. Purché lo si accolga sinceramente come pastore e custode della propria anima



Don Leonardo M. Pompei, Quarta Domenica di Pasqua, anno A
Letture: At 2,14a.36-41; Sal 22; 1 Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10

La quarta Domenica di Pasqua, detta anche del Buon Pastore, presenta una liturgia il cui centro è costituito dalla figura di Gesù, supremo “pastore e custode delle nostre anime” (seconda lettura), dalla cui emblematica e paradigmatica autorità e autorevolezza può e deve discendere ogni criterio di azione e comportamento per coloro che sulla terra ne continuano e proseguono, con l’autorità da Lui stesso conferita, il ministero pastorale. L’odierna liturgia mostra, al riguardo, un ampio squarcio della predicazione e dell’attività pastorale del primo vicario di Cristo in terra che ha avuto storicamente il compito di iniziare a perpetuarne l’opera e le funzioni.
Gesù è colui che è venuto sulla terra “per darci la vita e darcela in abbondanza”. Si tratta evidentemente della vita dell’anima o dello spirito, da cui peraltro ridonda - come la fede ci insegna - come da fonte primaria anche il benessere psicologico e, non di rado, lo stesso benessere fisico, che fu, è e sempre resterà intaccato, principalmente, dal male prodotto dal peccato dell’uomo. Gesù è, al tempo stesso, Pastore in quanto autore, causa e strumento della vita di grazia di ogni anima; ma è anche “porta” (come ce lo presenta l’odierna pagina evangelica) di ingresso legittimo nel recinto del gregge di chiunque voglia assumerne e perpetuarne le funzioni pastorali. Sappiamo bene che, nella Chiesa, i legittimi pastori sono coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’ordine, nel grado del presbiterato e soprattutto dell’episcopato e ciò fonda la validità e liceità dell’espletamento, all’interno della comunità cristiana, del loro compito e servizio di pastori. Il Vangelo, tuttavia, ammonisce sul fatto che affinché tale ministero sia anche fruttuoso, efficace e produttivo di bene e benessere reale sulle anime affidate ai pastori (oltre che valido e lecito), esso deve essere modellato e plasmato sulla figura e l’opera del Buon Pastore per antonomasia, ossia Gesù. Perché il pastore terreno abbia lo stile del Pastore Celeste, infatti, è condizione senz’altro necessaria ma non sufficiente, la sacra ordinazione. Compito del pastore terreno è dunque sempre sforzarsi di modellare l’esercizio del suo ministero e la sua stessa vita su quella di Gesù, altrimenti anziché portare le pecore ai dolci pascoli della vita di grazia ed evangelica, le consegnerà alla rovina in preda a ladri e briganti. Tutti sappiamo come, purtroppo, ci siano stati e ci siano pastori almeno oggettivamente e apparentemente non all’altezza della dignità del loro ministero. Questo non deve destare stupore, perché il fatto che un pastore sia realmente “buono” dipenda dalla misura in cui la vita e l’operato del ministro di Dio saranno realmente e profondamente specchio tersissimo dello stile, delle parole e dell’operato del Pastore supremo. In questa Domenica pertanto, la Chiesa invita tutti i fedeli ad elevare a Dio preghiere e suppliche per la santità di tutti i pastori, unitamente a ferventi invocazioni e richieste perché Egli continui a mandare numerosi e santi pastori alle sue pecorelle.
Compito primario del buon pastore è annunciare che Gesù è l’unico Signore e Salvatore dell’uomo e in forza di ciò chiamare, con soave fortezza e ferma dolcezza, chi vive nel peccato a convertirsi e riconciliarsi con Dio: attraverso il Battesimo, se ancora non appartenente al popolo santo di Dio; attraverso il sacramento della penitenza se da tale mistico corpo si fosse separato col cuore peccando gravemente e perdendo la grazia. È quanto vediamo fare da san Pietro nella prima lettura, nel contesto del suo primo atto di predicazione pubblica immediatamente dopo la Pentecoste.
Altro compito essenziale del buon pastore è additare come unico modello e punto di riferimento di vita la persona e l’esempio di Gesù (seconda lettura). I cristiani non sono semplicemente “brave persone” o tiepidi fedeli che brancolano nella mediocrità o in una ben scarsa coerenza di vita. Essi fanno il bene e sopportano con pazienza mali, contrasti e persecuzioni perché sanno di dover imitare il Maestro e Pastore Supremo. I pastori hanno il dovere grave di additare tale modello certamente con la parola ma anche con la vita. Essi devono precedere il gregge non solo nella dignità e nell’autorità, ma soprattutto nell’esempio, nella coerenza e in uno spirito di profondo servizio. Solo così il Vangelo può diventare realtà viva e visibile e la testimonianza cristiana autentica e credibile; ed allora in molti rientreranno nel recinto abbandonato o chiederanno di entrarvi qualora non ne facessero ancora parte.

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