Se vuoi... Ma Io vi dico...

"Dio ci pone davanti vita e morte, bene e male: a noi la scelta. 
Gesù ci pone dinanzi la perfezione della Legge di Dio: anche qui, a noi la scelta"




Omelia di Don Leonardo M. Pompei, VI Domenica del tempo ordinario, anno A
Letture:  Sir 15,15-20; Sal 118; 1 Cor 2,6-10; Mt 5,17-37



Le letture di questa sesta domenica del tempo ordinario sono talmente dense e pregne di molteplici e profondissimi elementi di riflessione e meditazione che, per approfondirle adeguatamente, non solo non basteranno gli ambiti ristretti di una piccola omelia scritta, ma non basterebbero nemmeno quelli dell’omelia pronunciata e neppure gli spazi, ancora più ampi, di una catechesi o di una conferenza.
La protagonista di questa domenica è senza dubbio la Legge di Dio, ossia i suoi comandamenti. Nella prima lettura, magistralmente, l’uomo viene posto innanzi al loro esserci e alla doverosa presa di posizione dinanzi ad essi (se accoglierli o osservarli oppure no); mentre nel Vangelo Gesù porta a perfezione, completandoli e radicalizzandoli, i precetti antichi (ma sempre validi) del quinto, del sesto e del secondo comandamento.
La prima lettura anzitutto inizia con un “se vuoi”. Parola assolutamente fondamentale, perché manifesta l’intenzione con cui Dio ha dato le sue leggi all’uomo: ossia che egli, esercitando la sua libera volontà, anzitutto li voglia conoscere (e questa è la dimensione dell’ascolto e dell’accoglienza) e poi, sempre liberamente, li faccia suoi e li metta in pratica fedelmente, con la convinzione che essi, lungi dall’essere limitazioni, sono in realtà vere e proprie liberazioni, perché ci liberano dai pericoli di un uso maldestro, distorto o malvagio della nostra libertà che ci porterebbe solo e sempre alla rovina. Il testo ammonisce, infatti, che Dio ha messo davanti a noi “acqua e fuoco”, “vita e morte”, “bene e male” e che “a ognuno sarà datò ciò che piacerà”. Gli artefici, dunque, del nostro “destino” terreno e ultraterreno siamo solo noi e le nostre scelte. Accusare Dio dei propri mali presenti o, peggio, di un’eventuale dannazione futura sarebbe, dunque, bestemmia orribile e imperdonabile. Tant’è vero che, pur essendo i comandamenti lasciati alla nostra libera accoglienza e messa in pratica, Dio li ha dati appunto come “comandamenti”, non come pii consigli, o indicazioni non vincolanti. E se questo non fosse chiaro il testo termina asserendo, chiaramente, che Dio non ha comandato a nessuno di essere empio (ma piuttosto di tendere alla santità) né mai ha dato ad alcuno il permesso di peccare (mai, in nessun modo e in nessun caso), perché questo significherebbe autorizzare l’uomo a farsi del male, a compiere il suicidio non solo della vita del corpo (questo è già purtroppo successo col peccato originale) ma quello ben più grave e drammatico dell’anima. E per l’amore che Dio nutre nei nostri confronti, è più facile che l’universo cessi di essere piuttosto che Dio autorizzi un peccato, anche minimo, come Gesù espressamente ribadisce nella prima parte del Vangelo, dove afferma che ogni minimo dettaglio della Legge antica è stato dato perché sia compiuto e che solo chi sarà stato attento ad osservare e insegnare anche “i minimi” tra i precetti sarà un grande nel regno dei cieli.
Veniamo ai passaggi chiave del Vangelo. Gesù dilata il quinto comandamento anzitutto andando alla radice di molti omicidi che è l’ira, la quale, se assecondata e consentita, è già essa stessa peccato; dopo l’ira segue l’insulto e questo è peccato ancora più grave; dopo l’insulto può seguire l’odio e il disprezzo e questo è senza dubbio peccato mortale e condizione necessaria perché, nei casi peggiori, possa consumarsi anche il vero e proprio omicidio. Ecco perché Gesù raccomanda di conservare la pace con tutti, anche con chi sappiamo avercela con noi, prima di presentarsi al suo cospetto.
Anche sul sesto comandamento, dopo avere parlato in termini chiarissimi e inoppugnabili di adulterio e concubinato (temi di strettissima attualità), Gesù va alla radice, sia dell’adulterio (“guardare una donna per desiderarla”) che di qualunque peccato impuro, che parte sempre da un uso disordinato degli occhi e, sovente, anche delle mani (è evidente che Gesù confida nell’intelligenza e nel buon senso di un ascoltatore adulto, che non farà fatica a comprendere e rappresentarsi numerosi ed eloquenti esempi al riguardo). Circa infine il giuramento, ciò che Gesù raccomanda è anzitutto la veracità ad ogni costo (chi dice sempre la verità non ha alcun bisogno di giurare, ossia chiamare Dio a testimone delle proprie azioni), ma anche la fedeltà ad ogni costo alla verità: se una cosa sta in un modo, così deve essere detta e presentata; se sta in un altro, la si presenterà nel modo opposto. Un monito implicito contenuto in questi passaggi ultimi del Vangelo: la chiarezza è sempre compagna della verità, l’ambiguità spesso si accompagna all’errore o al tentativo di celarlo.
Il molto altro che queste pagine contengono, lo Spirito Santo non mancherà di rivelarlo a coloro che avranno la volontà e l’amore di riprendere questi splendidi testi e farli penetrare nell’intimo della mente, della coscienza e del cuore.

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